Living with the elephant

Ognuno ha il suo modo di reagire all’annuncio della fine. Qualcuno si concede tutto ciò che non si era mai concesso, rompe ogni regola, ogni tabù, ogni proibizione. Qualcuno si finisce con le proprie mani, per avere almeno l’illusione di aver potuto scegliere. Qualcuno s’inventa disperatamente, inutilmente mille e uno modi per sfuggire all’inevitabile. Qualcuno prega. Qualcuno urla. Qualcuno impazzisce. Nel momento in cui sappiamo l’ora e il giorno in cui ci aspetta la fine, ognuno di noi ha il proprio modo personale di ribellarsi ad essa, o di accettarla. Ma quando la fine è come una spada di Damocle sulla testa di ognuno, personale ma collettiva, pressante ma indefinita; quando la fine potrebbe arrivare ogni giorno, ma nessuno sa quale, allora non c’è che una sola reazione, ed è ignorarla. Perchè nessuno riuscirebbe nemmeno a respirare, sapendo che quel respiro potrebbe essere l’ultimo. Nessuno potrebbe mai iniziare nulla, senza sapere se riuscirà a finire. Ognuno per potersi muovere, per poter continuare a vivere ha bisogno di un futuro certo, anche se questa certezza fosse la data della propria fine. Una fine incombente ma indeterminata viene ignorata, e la tenacia con cui lo si fa è la tenacia stessa che ci tiene ancorati alla vita. Sappiamo che davanti a noi vi è il nulla, ma efficacemente lo dimentichiamo, perchè ricordarlo equivarrebbe a lasciare che quel nulla tolga significato anche alla più piccola delle nostre azioni e ci trasformi in bambole inutili ed inerti, che aspettano e sperano che la fine arrivi.

No, non sono depressa e no, nessuno mi ha diagnosticato mali incurabili, per fortuna. Ma stamattina sedevo in veranda leggendo il giornale, e da ogni pagina piattaforme petrolifere nei mari del nord, api morenti, guerre appena iniziate e guerre ancora da iniziare si alzavano e si accumulavano come nubi nere e pesanti, come una tempesta imminente, ancora all’orizzonte ma sufficientemente vicina e nera da non lasciare scampo.
Poi però mio padre è passato a chiedere se volevamo dargli una mano nel campo e improvvisamente le nuvole erano sparite, il sole splendeva sulla Norvegia e io mi sono alzata felice per andare a piantare patate una domenica di fine maggio. Il giornale è rimasto abbandonato sul tavolo.

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